Ogni tanto la voglia di scrivere mi riprende prepotente, questa malia parossistica di riversare i pensieri sulla carta(?) o dovrei dire sullo schermo…
Ho letto tanto, leggo tanto, scrivo tanto, ma come fanno le parole a creare mondi sempre nuovi? A volte le paragono ad un mandala, un atto creativo che componendosi in lettere ci assorbe i pensieri negativi, li espelle come tossine e poi ci fa sentire meglio.
Da ragazza scrivevo diari, taccuini, poesiole con la mia grafia oscura, elegante ma misteriosa, continua come un sentiero. Non alzavo mai la penna dal foglio, la penna scivolava come un dito sulla seta, alzarla mi costava fatica, interrompeva quel flusso che aveva urgente bisogno di sgorgare e consolidarsi nel segno.
Piccole perle di emozioni che tentavano di infilarsi a formare collane. Non sentivo il bisogno di rileggere (in verità non lo sento nemmeno adesso) come se in questo riversarsi si attuasse la realizzazione e lo scopo dello scrivere, eppure si è soliti dire che si scrive per essere letti, sarà così?
Con l’avvento dei blog e di interi panorami di pseudo e filo scrittori viene da pensare che si scrive per sé abbracciati alla illusione che qualcuno legga ma che in fondo, anche se non ci legge nessuno, poco importa al nostro bisogno.
Paradossalmente comunicare con le parole è diventato al contempo più semplice e meno incisivo, sarà forse che si è già detto tutto e la perversa coazione a ripetere della genia umana continua a farsi domande a cui non ci sono risposte e a fare errori che, dopo la prima volta, avrebbero dovuto essere insegnamenti.
Attraverso questo perseverare diabolico ognuno pensa di dire cose nuove ed interessanti, anche io a volte, non in questo momento, in questo istante di flusso di coscienza sto scrivendo veramente per me sola, anche se so che posterà il mio scrivere sul blog e magari su facebook, dove i MI PIACE, per un attimo mi gratificheranno nella prestidigitazione di una magia da spettacolo teatrale e vedrò spuntare il coniglio o la colomba che mi abbaglieranno con la finta naturalità del loro movimento.
Nel mio tempo circolare, nei miei passaggi uroborici, è come se la levigatezza della perla si trasformi ogni volta modificando quella collana apparentemente uguale da anni, arricchendola di nuove sfumature.
Ora è maggio, di quale anno non importa, importante è che sia prima di un altro maggio e dopo di un altro maggio ancora, esattamente collocato in questo spazio, naturalmente come un riavvicendarsi di stagioni che col loro ripetersi si perpetuano in un assetto strutturale uguale e diverso.
Il mio ciclo naturale, il mio ciclo emotivo naturale che fluisce nell’indifferenza del macrocosmo umano ma lenisce la mia perdita temporale con una nuova levigatura di perla.
Segreta felicità dell’essere in naturalezza. Mondo tra i mondi. Illusione tra illusioni. Unicità nel molteplice.